TIROIDITE DI HASHIMOTO: ALIMENTAZIONE E INTEGRAZIONE

TIROIDE

La Tiroidite di Hashimoto è la più frequente malattia autoimmune cronica caratterizzata dalla presenza nel sangue di autoanticorpi contro la tiroide e compromissione della funzionalità della ghiandola stessa.
Le manifestazioni cliniche della malattia sono diverse e includono gozzo diffuso o nodulare con eutiroidismo, ipotiroidismo subclinico o ipotiroidismo permanente. Spesso l’evoluzione della patologia comporta la necessità di una sostituzione farmacologica con levotiroxina per correggere l’ipotiroidismo e prevenire o trattare la sintomatologia associata.
Sebbene la Tiroidite di Hashimoto sia stata da sempre considerata una malattia causata principalmente da aberrazioni genetiche, per le quali l’adattamento ambientale comporterebbe soltanto una minima modificazione del rischio, negli ultimi anni sono stati condotti diversi studi scientifici per dimostrare il ruolo aggiunto della dietoterapia nella gestione della malattia e del suo andamento.
Il micronutriente essenziale della dieta per una adeguata funzionalità della tiroide e per la sua sintesi ormonale è lo iodio. L’assunzione giornaliera raccomandata di iodio corrisponde a 150 gr per gli adulti e 250 gr per le donne in gravidanza e allattamento. Un deficit di iodio può comportare diverse conseguenze con un ampio range clinico, dal gozzo fino al cretinismo nei casi più gravi in cui la carenza del micronutriente è marcata. Tuttavia, grazie ai programmi di iodizzazione del sale e, dunque, al comune utilizzo di sale iodato nella dieta, in più del 70% della popolazione mondiale il rischio di gravi carenze di iodio è stato annullato. Se da un lato lo iodio risulta essenziale per la funzionalità tiroidea, è stato dimostrato che una carenza lieve e trascurabile del micronutriente non comporterebbe ipotiroidismo, per una sorta di meccanismo di adattamento della ghiandola; al contrario, esiste una forte relazione tra eccessiva assunzione di iodio (rilevabile dalla sua concentrazione urinaria) e una più alta frequenza di tiroidite autoimmune e conseguente ipotiroidismo. Tale rischio è maggiore nelle aree geografiche ricche di iodio e nei casi in cui si assumano dosi in eccesso attraverso l’alimentazione. Dunque, una sovra- integrazione non giustificata di iodio in caso di tiroidite di hashimoto è da scoraggiare, fermo restando l’importanza di assumerne le adeguate quantità con la dieta, specie nelle donne in gravidanza.
Il selenio è un micronutriente essenziale della dieta con azione antiossidante e antinfiammatoria e con effetto sulla produzione attiva degli ormoni tiroidei. La tiroide è, infatti, l’organo con il più alto contenuto di selenio per grammo di tessuto. Il selenio è presente nel suolo ed entra nella catena alimentare attraverso le piante. Quindi, il livello di selenio di piante e animali dipende da quanto ne contiene il terreno stesso; l’attuale assunzione dietetica raccomandata di selenio negli adulti è compresa tra 55 e 75 g al giorno. I risultati di alcuni studi osservazionali e randomizzati hanno confermato l’efficacia del selenio e della sua integrazione nel ridurre i livelli di autoanticorpi contro la tiroide, migliorare la biodisponibilità della levotiroxina, contrastare l’ipotiroidismo autoimmune e prevenire la tiroidite post-partum. Dunque, in caso di tiroidite di hashimoto associata a carenza accertata di selenio, in particolare per le popolazioni di aree geografiche in cui il suolo è carente del micronutriente, la terapia di integrazione è raccomandata. Tuttavia, l’assunzione cronica e ingiustificata di grandi quantità di selenio può avere effetti avversi sulla salute umana e il consumo giornaliero superiore a 400 g di selenio potrebbe essere tossico e dannoso per il metabolismo degli ormoni della crescita e per la sintesi degli ormoni tiroidei stessi. Possibili e gravi effetti collaterali includono perdita di unghie e capelli, anoressia, diarrea, depressione, emorragia, necrosi epatica e renale, cecità, atassia, disturbi respiratori, dermatiti e disturbi del SNC.
Per il metabolismo della tiroide sono necessari adeguati depositi di ferro nell’organismo. L’enzima responsabile della produzione degli ormoni tiroidei diventa, infatti, attivo solo dopo l’associazione di ferro. I pazienti con ipotiroidismo autoimmune soffrono spesso di anemia sideropenica; inoltre, la gastrite autoimmune, che ostacola l’assorbimento del ferro, può essere una comorbilità della tiroidite di hashimoto. L’integrazione di ferro nelle donne anemiche con funzionalità tiroidea alterata migliora la sintesi ormonale.
Diversi studi hanno dimostrato una forte relazione tra deficit di vitamina D e autoimmunità tiroidea; inoltre, la terapia di integrazione con vitamina D risulta efficace nel ridurre il livello di autoanticorpi contro la tiroide nei pazienti con tiroidite di hashimoto ed è pertanto indicata. La vitamina D è attualmente considerata un modulatore dei processi di autoimmunità, sebbene non siano ancora chiari i meccanismi alla base di questa assunzione. Non è pertanto possibile per il momento stabilire con certezza se il deficit di vitamina D nei pazienti con tiroidite di hashimoto sia implicato nella patogenesi del disturbo oppure il risultato della malattia stessa.
Secondo la bibliografia medica internazionale, la tiroidite autoimmune e la malattia celiaca sono chiaramente associate. Ciò potrebbe essere spiegato dall’aumentata immunosensibilità dei pazienti con malattia celiaca, dal malassorbimento di elementi chiave come il selenio e lo iodio e dalla presenza di anticorpi che agiscono su entrambi i tessuti bersaglio. Secondo una metanalisi più recente, tutti i pazienti con tiroidite autoimmune dovrebbero essere sottoposti a screening sierologico per la celiachia, data l’aumentata prevalenza della coesistenza di questi due disturbi. Sulla base delle prove scientifiche che abbiamo a disposizione, non è ancora chiaro se una dieta priva di glutine possa prevenire le malattie autoimmuni, ma i pazienti con tiroidite di hashimoto, con o senza malattia celiaca, possono beneficiare di una dieta a ridotto contenuto di glutine per quanto riguarda la progressione e le potenziali complicanze della malattia.
I risultati di un recente studio clinico hanno dimostrato un’elevata incidenza di intolleranza al lattosio in soggetti affetti da Tiroidite di Hashimoto e resistenti al trattamento farmacologico con levotiroxina. Nei pazienti con ipotiroidismo autoimmune non controllato e che necessitano di elevati dosaggi di levotiroxina sostitutiva è opportuno prendere in considerazione una possibile intolleranza al lattosio, la cui eliminazione dalla dieta si associa ad un miglioramento della patologia.