L’ ALIMENTAZIONE NELL’ ETA’ EVOLUTIVA

Educare ad una sana e corretta alimentazione fin dall’infanzia e nell’adolescenza è una sfida sulla quale le famiglie e la società dovrebbero investire per attuare una delle migliori prevenzioni possibili in ambito sanitario. Instaurare un rapporto sano con il cibo, acquisendo e consolidando fin da bambini delle abitudini e dei comportamenti alimentari corretti, permette più efficacemente di prevenire in età adulta l’obesità e le numerose patologie ad essa correlate.

E’ stato dimostrato in ambito scientifico che il tipo di nutrimento della madre in gravidanza e del neonato nei primi 1000 giorni di vita svolge un ruolo chiave nel definire lo stato di salute del bambino in età adulta: l’alimentazione durante la vita intrauterina e nei primi mesi di vita extrauterina, infatti, rappresenta un potente fattore ambientale in grado di intervenire sull’espressione genica a livello del DNA e determinare il fenotipo del soggetto, con la predisposizione o meno a sviluppare obesità e patologie ad essa correlate.

Nella determinazione del fenotipo sovrappeso intervengono anche altri fattori di rischio precoci: il basso peso alla nascita, un elevato BMI (indice di massa corporea) della madre, l’obesità dei genitori, uno svantaggio socio-economico famigliare, il fumo materno in gravidanza, un eccessivo aumento di peso nel primo anno di età, una breve durata del sonno a tre anni (<10 ore/die) e un elevato numero di ore di tv alla settimana a tre anni (>8 ore/die).

Anche l’allattamento artificiale risulta associato ad un maggiore rischio di obesità infantile e in età adulta, motivo per cui, laddove non vi siano reali impedimenti, l’ OMS raccomanda l’allattamento al seno, esclusivo fino ai sei mesi di vita extrauterina e in associazione all’introduzione dei cibi solidi durante la fase di divezzamento (6-12 mesi). Il divezzamento precoce (prima dei sei mesi di vita) è sconsigliato poiché riduce l’effetto protettivo del latte materno, sbilancia verso una nutrizione iperglicidica, iperproteica e ipolipidica e può causare diarrea, sensibilizzazione allergica nei neonati a rischio ed eccessivo carico renale.

A partire dal divezzamento e nel corso degli anni successivi, l’alimentazione in età evolutiva deve essere impostata sulla base dei fabbisogni energetici e nutrizionali del bambino, facendo riferimento alla sua curva di crescita e ai livelli di assunzione raccomandata dei nutrienti. Per lo sviluppo in salute del bambino la dieta mediterranea rappresenta il tipo di alimentazione migliore, ampiamente accettata e raccomandata dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità. In particolare, per prevenire il rischio di obesità e di patologie legate allo stile di vita, nonché per educare efficacemente il palato dei bambini ad apprezzare un’ampia varietà di cibi e di sapori, è raccomandato evitare o limitare il più possibile il consumo di alimenti e prodotti industriali contenenti zuccheri aggiunti, sale aggiunto e grassi trans. Come previsto dalla dieta mediterranea, l’alimentazione del bambino deve comprendere il consumo quotidiano di cereali di ogni tipo, anche integrali, frutta e verdura in abbondanza, latte e yogurt o formaggi magri (ricotta, fiocchi di latte). Le proteine contenute in pesce, legumi, carne, uova e formaggi vanno quotidianamente assunte in quantità controllate e che non superino la percentuale del 15% rispetto all’apporto quotidiano in percentuale degli altri macronutrienti essenziali: 45-60% di carboidrati, di cui meno del 10% rappresentato da zuccheri semplici, e 30-40% di grassi, di cui meno del 10% rappresentato da grassi saturi. E’ stato dimostrato che un eccessivo consumo proteico nei primi due anni di vita può predisporre ad un maggior rischio di obesità in età adulta. Al contrario, un ridotto consumo di grassi nei primi due anni di età causa uno sviluppo inadeguato dei meccanismi metabolici che regolano l’assunzione lipidica e una maggiore tendenza all’accumulo dei grassi negli anni successivi. Via libera, quindi, al consumo di grassi e in particolar modo di alimenti contenenti grassi insaturi, fondamentali per la crescita del bambino ed essenziali per lo sviluppo e il mantenimento delle sue funzioni cerebrali: olio extravergine di oliva come condimento, pesce, semi oleosi, olive, frutta secca. La dieta dei ragazzi, come quella degli adulti, dev’essere il più possibile varia ed equilibrata, senza l’esclusione di alcun alimento ma nel rispetto delle porzioni giornaliere e settimanali raccomandate dalla piramide alimentare. Una corretta alimentazione da impostare in famiglia prevede l’abitudine a consumare quattro o cinque pasti ad orari possibilmente regolari, evitando i fuori pasto e senza mai saltare la prima colazione; è preferibile pranzare e cenare assieme alla famiglia, a tavola, evitando il bis di primi e di alimenti proteici. Inoltre, una buona abitudine consiste nel non consumare e nel non tenere in casa scorte di cibo-spazzatura, dolci industriali, bevande zuccherate, patatine, caramelle etc. Limitare il consumo di questi alimenti ad occasioni sporadiche e conviviali (le feste con gli amici, ad esempio) può essere un ragionevole compromesso per non incorrere nel rischio di rendere abituale un’alimentazione non salutare. Infine, di fondamentale importanza è l’idratazione, dunque l’abitudine a bere acqua in quantità adeguate al fabbisogno durante l’arco della giornata, evitando altre bevande zuccherate quali succhi di frutta o bibite.

Anche le dinamiche famigliari, la sfera psichica e il vissuto emozionale del bambino possono influenzare fortemente le sue abitudini e i suoi comportamenti alimentari. Spesso l’ obesità infantile e ancor più i disturbi del comportamento alimentare trovano radici in situazioni famigliari difficili, in conflitti con la figura genitoriale, nella tendenza del bambino a reprimere le proprie emozioni negative (rabbia, ansia, delusione). E’ assolutamente controindicato da parte dei genitori utilizzare il cibo come strumento di ricompensa o punizione ed è altrettanto controproducente, nonché inutile, insistere con intransigenza qualora i bambini dovessero dimostrare un’avversione per il cibo; la fobia alimentare, spesso selettiva per gli alimenti acidi e amari, è molto frequente nei bambini ma in genere transitoria e destinata a risolversi con la crescita. Nell’intento di educare ad uno stile di vita sano, è importante che i genitori non superino il limite e non trasferiscano ai figli un’attenzione ossessiva e maniacale verso la sana alimentazione o verso un ideale estetico da mantenere, onde evitare lo sviluppo di disturbi del comportamento alimentare quali ortoressia, anoressia, bulimia. Crescere nella fiducia e con la stima dei genitori permette ai ragazzi di acquisire un sereno rapporto con se stessi, con il cibo e con la propria immagine corporea. Per prevenire le conseguenze gravi dei disturbi del comportamento alimentare, è opportuno che i genitori sappiano individuare precocemente alcuni “segnali d’allarme” per poter richiedere tempestivamente al medico di famiglia e allo psichiatra un inquadramento diagnostico e l’eventuale inizio di un percorso terapeutico e di una riabilitazione nutrizionale. Tra i segni premonitori dei disturbi del comportamento alimentare ricordiamo l’ isolamento e l’evitamento delle situazioni sociali e dei contesti conviviali, un eccessivo ed esclusivo impegno scolastico, l’ attività fisica praticata con esagerazione, un’attenzione costante alla conta delle calorie e alla pesata degli alimenti, il consumo esclusivo di alimenti ipocalorici e dietetici, il controllo esagerato delle etichette dei prodotti da acquistare, un eccessivo controllo del peso e una distorta immagine corporea.

La consulenza nutrizionale nei pazienti in età evolutiva prevede una ricostruzione della storia clinica e un’ attenta valutazione dello stato nutrizionale attraverso un’anamnesi approfondita, cui segue l’esame obiettivo e l’esame antropometrico per definire il BMI (indice di massa corporea) e la curva di crescita del bambino. In alcuni casi può essere opportuno richiedere eventuali esami ematochimici. Il percorso nutrizionale dev’essere sempre personalizzato e il piano alimentare finalizzato a soddisfare gli specifici fabbisogni energetici e nutrizionali del giovane paziente. Nei bambini e nei ragazzi in età evolutiva è controindicato impostare restrizioni caloriche o diete incongrue di qualunque tipo: eventuali condizioni di sovrappeso o obesità possono e devono essere affrontate attraverso una corretta educazione alimentare e attraverso la proposta di “regole” e strategie per migliorare l’alimentazione, imparare ad apprezzare gradualmente nuovi sapori e intraprendere uno stile di vita più attivo. Per il buon esito del percorso nutrizionale è assolutamente fondamentale che il cambiamento proposto investa tutta la famiglia e non solo il bambino: i genitori devono dare il buon esempio!

Un altro ruolo importante nell’ indirizzare i gusti e le scelte alimentari dei ragazzi è rivestito costantemente dall’ambiente sociale obesogeno che ci circonda: il marketing alimentare con la sua onnipresente pubblicità classica e subliminale, la tecnologia e le attività ricreative sedentarie dei ragazzi (pc, tc, videogiochi etc), le poche ore di sonno, una ridotta o assente attività fisica regolare, i distributori automatici a scuola etc.

Per contrastare l’influenza dell’ambiente obesogeno, oltre alle buone abitudini alimentari in famiglia, è auspicabile un impegno dalla società e, in primis, delle scuole: l’ adeguamento dei menu delle mense alla vera dieta mediterranea, l’abolizione dei distributori automatici o la sostituzione dei junk food con snack e bevande più salutari, un progetto di educazione alimentare che preveda attività didattiche, visite guidate e lezioni interdisciplinari con medici e psicologi, per fornire ai ragazzi conoscenze e strumenti atti a concretizzare un cambiamento motivato e consapevole. Educare allo sport, infine, significa favorire le capacità sia fisiche che psicologiche per crescere in condizioni di forza e benessere psicofisico, contrastando la pigrizia, la sedentarietà e i comportamenti alimentari errati che ne derivano.

LA FAME NERVOSA E GLI STIMOLI A MANGIARE IN ECCESSO

Molti pazienti in forte sovrappeso o con obesità presentano problematiche di fame nervosa più o meno importante e difficoltà nella gestione degli stimoli a mangiare in eccesso.

La fame nervosa comporta un consumo elevato, spesso fuori pasto, di alimenti che nella maggior parte dei casi sono molto calorici, poco nutrienti e ad alto indice glicemico, in grado di aumentare ancora di più il senso di fame e la ricerca di cibo in un circolo vizioso che esita in abitudini alimentari errate e dannose per la salute.

In questi casi i pazienti, più che di una “dieta” impostata sulla restrizione calorica e il rispetto delle grammature, necessitano di intraprendere un percorso guidato, graduale e personalizzato di educazione alimentare con associata la possibilità di individuare e risolvere le personali problematiche di fame nervosa all’origine del disturbo. Talvolta le stesse “diete fai da te” o alcune diete scompensate ed eccessivamente restrittive possono contribuire ad alimentare ancora di più il rapporto critico con il cibo; spesso i pazienti desiderano ottenere un calo ponderale elevato in poco tempo, ma se ciò si verifica troppo velocemente e attraverso diete scompensate, senza un efficace processo di educazione alimentare, il rischio è quello di recuperare in poco tempo il peso precedente, spesso con gli interessi. Il cosiddetto effetto yo-yo, caratterizzato da ripetuti e considerevoli cali ponderali nel corso della vita e successivo recupero del peso precedente, comporta rischi per l’organismo e l’impossibilità di risolvere in modo definitivo le proprie difficoltà legate alla fame nervosa.

Occorre educare i pazienti ad un vero cambiamento delle proprie abitudini alimentari e lavorare parallelamente con loro sulle piccole o grandi difficoltà personali a gestire la fame nervosa e controllare gli stimoli a mangiare in eccesso.

Il primo punto da cui partire per intraprendere un percorso efficace di educazione alimentare è la relazione medico – paziente fondata sull’ ascolto, il dialogo e la fiducia. Grazie ad una buona relazione medico – paziente risulta da subito più semplice definire obiettivi realistici, chiarire dubbi e perplessità, intraprendere un percorso di modificazione dello stile di vita con maggiori probabilità di successo.

Fondamentali sono, inoltre, il livello di motivazione personale e le ragioni che spingono a voler attuare un cambiamento duraturo. In genere è più facile che il paziente raggiunga gli obiettivi prefissati quando mosso dalla volontà di migliorare le proprie condizioni di salute anziché unicamente il proprio aspetto fisico. Quando le motivazioni al cambiamento sono forti e profonde è più probabile che il paziente sia disposto ad armarsi di pazienza e fiducia: un percorso dietoterapico adeguato richiede tempo e costanza e può essere caratterizzato dall’alternanza di fasi positive e momenti di difficoltà, stanchezza o sconforto, da affrontare con serenità e consapevolezza.

Nei pazienti in dietoterapia, infatti, sono moltissime le situazioni ad alto rischio che causano la fame nervosa e che rappresentano stimoli a mangiare in eccesso: le emozioni negative (ansia, noia, tristezza), le emozioni positive (gioia, euforia), la sedentarierà, la tendenza ad utilizzare il cibo come valvola di sfogo e strumento di contenimento dello stress quotidiano, la semplice vista del cibo (al supermercato, per strada, in casa, alla tv), le situazioni sociali (occasioni conviviali, festività). Alcuni tipici “pensieri ingrassanti” (“non ce la farò mai”) e la tendenza a ragionare in termini di “tutto o nulla” (“dal momento che oggi ho trasgredito, tanto vale continuare a farlo e ricominciare la dieta da domani”) rappresentano un’ insidia frequente e purtroppo possono comportare l’abbandono dell’ adesione alla dieta e il mancato raggiungimento degli obiettivi dietoterapici.

Per far fronte a questi rischi, è necessario che ciascun paziente possa riconoscere le proprie difficoltà e trovare personali strategie da mettere in pratica quotidianamente per gestire la fame nervosa e gli stimoli a mangiare in eccesso. Questo lavoro può essere intrapreso grazie alla guida del medico nutrizionista e attraverso l’ adesione ad un piano alimentare personalizzato, che preveda l’inserimento di alimenti sazianti e più salutari a scapito di quelli che, al contrario, aumentano ancora di più la fame nervosa e sono rischiosi per la salute; lo schema alimentare non dev’essere particolarmente restrittivo bensì mirato a regolarizzare l‘alimentazione nell’arco della giornata, considerando lo stile di vita e gli aspetti di personalità di ciascun paziente.

In associazione all’adesione al piano alimentare risulta molto efficace la compilazione di un diario alimentare come strumento di auto- monitoraggio e auto-valutazione delle proprie difficoltà, con le strategie messe in atto per affrontarle, e dei propri progressi.

L’attività fisica o semplicemente uno stile di vita più attivo rappresentano un ulteriore strumento valido per aumentare il dispendio energetico quotidiano, migliorare il tono dell’umore e, di conseguenza, favorire il dimagrimento e contrastare alcuni stimoli a mangiare in eccesso (l’ansia e lo stress, la sedentarietà, la noia).

Un approccio di questo tipo, basato su un percorso di educazione alimentare e strategie comportamentali da mettere in pratica sotto forma di auto-aiuto guidato, non sempre è risolutivo laddove i pazienti presentino un rapporto disfunzionale con il cibo radicato nel tempo, fame nervosa associata a malattie psichiche (ad esempio disturbi d’ansia e depressione) e disturbi del comportamento alimentare (bulimia, disturbo da alimentazione incontrollata). In questi casi è sempre opportuno e raccomandato che la dietoterapia sia preceduta o affiancata da un percorso di psicoterapia finalizzato ad individuare, affrontare e risolvere i conflitti interiori profondi e le cause di natura psicologica alla base del disturbo.